Cerca e trova immobili

ALIMENTAZIONEAnisakis, il parassita del Sushi ancora poco conosciuto

18.01.07 - 13:50
None
Anisakis, il parassita del Sushi ancora poco conosciuto

ROMA  - Sushi: dilagante moda culinaria, ma anche possibile minaccia per la salute. I bocconcini di riso e pesce sempre più amati in Italia possono nascondere infatti un’insidia ancora poco conosciuta. Si chiama Anisakis ed è un parassita che può infestare il 70% dei tipi di pesce, in particolare alici, naselli, sgombri e merluzzi. Ma anche tonni, salmoni e spigole, gli ingredienti ‘base’ della cucina giapponese. L’Anisakis ‘viaggia’ nel pesce crudo o poco cotto e, una volta ingerito, si va a depositare nella parte bassa dell’intestino, provocando manifestazioni allergiche nel migliore dei casi, ma anche forti dolori e sintomi molto simili a quelli della peritonite.

Tanto da richiedere spesso un intervento chirurgico: sushi e sashimi ‘contaminati’ da questa larva richiedono nel paese del Sol Levante almeno 3 mila operazioni d’urgenza ogni anno, provocando anche alcune decine di morti. Nel nostro Paese il problema è meno diffuso e ancora sottovalutato. Il dipartimento generale della Sanità veterinaria e degli alimenti del ministero della Salute ha ricevuto nel 2004 circa 50 notifiche di riscontri di Anisakis in prodotti della pesca, importati soprattutto da Regno Unito e Paesi scandinavi. ‘’Ma sicuramente il numero di persone che si sono sentite male per colpa del parassita dopo aver mangiato pesce crudo, è molto maggiore. Nel nostro Paese non c’è un sistema informativo o un obbligo di denuncia tale per cui si possa fare una stima precisa dei casi”.
 
Lo dice all’ADNKRONOS SALUTE Giacomo Gidaro, direttore della prima clinica chirurgica dell’ospedale di Pescara e unico specialista in Italia ad aver operato e ‘ripreso’ il parassita nell’intestino umano. Gidaro ha trattato finora 32 casi di Anisakis fra il capoluogo abruzzese e Chieti, ‘’in maggior parte persone che avevano mangiato alici marinate condite solo con limone e olio, che non neutralizzano la larva e i suoi effetti dannosi sull’organismo. Anche oggi abbiamo un uomo con forti dolori addominali che ha riferito di aver mangiato pesce crudo, ma aspettiamo le analisi per accertarci che si tratti di contaminazione da Anisakis. E’ importante intervenire in tempo e fare la giusta diagnosi: in un ospedale italiano so che alcuni medici hanno scambiato un’anisakidiosi con un tumore dell’intestino”.
 
Dal 1992 in Italia è in vigore un’ordinanza ministeriale che vieta ai ristoranti di servire pesce crudo, marinato o affumicato a freddo, a meno che non sia stato precedentemente congelato a -20°C per almeno 24 ore. Una norma che protegge i consumatori dal rischio di parassiti, ma non da quello microbiologico: per gli amanti del ‘cruditè’ di pesce è sempre dietro l’angolo il pericolo di tossinfezioni da vibrioni e batteri vari (vibrio parahaemolyticus, vibrio vulnificus, aeromonas Hydrophila e altri). ‘’Importando la ‘moda’ della cucina giapponese - spiega Bartolomeo Griglio, coordinatore Centro interdipartimentale di ricerca e documentazione sulla sicurezza alimentare (Ceirsa) di Torino - i problemi li avremo anche noi. Al momento è difficile fare delle stime per la scarsa conoscenza del fenomeno, sottovalutato sia dal punto di vista del numero di casi, che dei sintomi: si possono confondere facilmente con forme influenzali o parainfluenzali gastrointestinali”. Sulle orme della normativa italiana, una delle poche che in Europa fissa l’obbligo del congelamento ‘preventivo’, da qualche settimana vige anche in Spagna un decreto reale simile, che mira a contenere il dilagante fenomeno delle anisakidiosi: secondo ‘El Economista’, il parassita potrebbe colpire oltre 100 mila persone ‘sensibili’, cioè più esposte al pericolo di reazioni allergiche gravi. Come fare dunque per non rinunciare al sushi, prevenendo i problemi per la salute? ‘’Occorre prestare attenzione - spiega Maria Teresa Manfredi, docente di parassitologia al corso di laurea in Medicina veterinaria dell’università di Milano - soprattutto alla provenienza e all’‘età’ del pesce: gli allevamenti, anche in mare, di solito sono meno esposti al pericolo di anisakis, così come i pesci più freschi garantiscono maggiore sicurezza, specialmente se congelati per un giorno prima del consumo. Bisogna ricordare che, quando si parla di ristoranti giapponesi, la regola del ‘costoso ma di qualità’ è più che mai valida: diffidare, dunque, dai piccoli ed economici spazi ‘take away’ che confezionano il pesce in maniera non controllabile e che spesso non hanno la cucina e nemmeno un refrigeratore”.
 
Ed evitare anche i ristoranti cinesi ‘magicamente’ trasformati in sushi-bar che stanno fioccando in molte città. ‘’Consideriamo poi che, in Giappone - evidenzia l’esperta - il rischio di anisakis è elevatissimo soprattutto perché le persone preparano il sushi e il sashimi in casa, senza avere una conoscenza approfondita di come si pulisce e si prepara il pesce e scegliendo spesso prodotti poco costosi, dunque di dubbia qualità. Da noi questa è un’usanza non comune e di solito nei ristoranti ‘fidati’ i cuochi sanno perfettamente come maneggiare tonni e salmoni: seguono corsi e devono rispettare specifiche norme di autocontrollo”. Ma il problema non riguarda solo il sushi: ‘’ci sono zone, come quelle del Sud Italia ma anche della Liguria - sottolinea Griglio - in cui c’è ancora l’abitudine di mangiare alici o altri pesci crudi o marinati esponendosi a un rischio di anisakidiosi a volte maggiore rispetto a quello che si corre mangiando i piatti tipici giapponesi”. Anche l’affumicatura ‘insufficiente’, cioè a freddo, non stronca il parassita. ‘’In Nord Europa, specialmente in Olanda - dice l’esperto - si mangiano spessissimo le aringhe affumicate, ma questo tipo di insaporimento del pesce non è in grado di neutralizzare e distruggere il parassita Anisakis se non raggiunge alte temperature.
 
In questi Paesi si tratta di un vero e proprio problema di sanità pubblica, tanto che i governi organizzano campagne di informazione sul consumo corretto di questi alimenti. In Italia - avverte Griglio - il pericolo è rappresentato soprattutto da quei ristoranti che offrono pesce crudo senza congelarlo prima, per non alterarne il sapore”. ‘’Il pesce - continua - viene allevato in un ambiente vivo, quello acquatico, in cui non ci sono controlli microbiologici ‘a tappeto’ come negli allevamenti bovini, suini o di polli. La gestione igienica del pesce, la sua freschezza, la scelta del ristorante che parta prima di tutto dall’affidabilità sono elementi importanti. Bisogna considerare che, in teoria, quando si mangiano cruditè di pesce si sta ingerendo un cibo comunque surgelato, e che, viceversa, se non è così siamo in pericolo. Il congelamento - ricorda in conclusione - protegge dai parassiti, mentre la cottura elimina i microrganismi nocivi. L’uomo ha scoperto la cottura proprio per eliminare i batteri e rendere più digeribile il prodotto”. Ma, a quanto pare, l’‘autolesionismo’ prevale: ‘’un po’ come per il fumo, si mangia pesce crudo sapendo di correre dei rischi”, conclude il chirurgo Gidaro. (Bdc/Adnkronos Salute)
Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE